È LEGGE IL JOBS ACT

TENTIAMO UN PO’ DI CHIAREZZA

Da quando si è iniziato a parlare di riforma del mondo del lavoro è stato detto tutto e anche il suo contrario. Sia nel bene che nel male nell’ultimo periodo molto è stato fatto; tentiamo di fare un po’ di chiarezza anche, e soprattutto, perché quello che c’è in gioco è la vita lavorativa di tutti noi, i nostri diritti e le nostre garanzie.

CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI

La prima cosa che salta all’occhio è l’abilità di utilizzo delle parole di questo Governo. L’insieme di normative che tenteremo di capire meglio nel dettaglio infatti sono sempre state trattate sotto il titolo di “contratto a tutele crescenti” mentre se ci si prende la briga di leggere bene il testo normativo di tutele non si parla mai, si parla solo della misura dell’indennizzo che spetta al lavoratore nel caso in cui questo venga licenziato ingiustamente. Più correttamente quindi io parlerei di contratto ad indennizzo crescente, non certo di tutele.

Con la legge n. 183/2014 è stato introdotto un nuovo regime di “tutele” per i casi di provvedimento espulsivo illegittimo con la dichiarata finalità di togliere quell’elemento di discrezionalità dei giudici che fino ad oggi ha caratterizzato il processo del lavoro. Si chiarisce infatti per la prima volta che l’istituto del reintegro sul posto del lavoro deve essere l’eccezione alla regola che è invece caratterizzata dall’indennizzo che sarà parametrato solo sull’anzianità di servizio del lavoratore.

Da un punto di vista pratico quindi in caso di licenziamenti per giustificato motivo, giusta causa e licenziamento “economico”, è sufficiente che qualcosa sia effettivamente successo, indipendentemente dalla sua gravità o meno, per far sì che al lavoratore, nel caso in cui il licenziamento sia illegittimo, spetti solo un risarcimento economico che peraltro non è coperto da contribuzione mentre è ancora incerta la natura fiscale dello stesso. A mio parere siamo di fronte ad una norma che ha il chiaro intento di fornire alle aziende la possibilità di sapere con certezza gli eventuali costi per il recesso illegittimo potendoli così paragonare agli eventuali benefici; al lavoratore spetterà un indennizzo pari a 2 mensilità di retribuzione globale per ogni anno di lavoro prestato. Indipendentemente dall’anzianità di servizio del lavoratore tale indennità non potrà mai essere inferiore a 4 mensilità e superiore a 24.

Il reintegro sul posto di lavoro resta possibile solo nei casi di licenziamento per giustificato motivo, giusta causa o motivo economico quando lo stesso venga comminato senza che sia dimostrata la sussistenza di un fatto materiale contestato; direi che come tutela non mi sembra granché, sfido chiunque a trovare un’azienda dove non sia possibile prendere un fatto, di per sé di poco conto, e usarlo come giustificazione per un licenziamento: ricordo infatti che non ha nessun rilievo la gravità del fatto contestato, basta che qualcosa sia accaduto.

Nulla cambia invece nel caso di licenziamenti discriminatori, nulli o intimati in forma orale che rimangono gli unici casi ancora tutelati dall’istituto della reintegrazione sul posto di lavoro. Nello specifico stiamo parlando di casi espressamente previsti dalla legge che sono licenziamenti viziati da:

  • Violazione delle disposizioni in materia di non discriminazione (fatta salva la difficoltà di dimostrare che di vera discriminazione si tratta)
  • Per matrimonio;
  • Per gravidanza fino al termine del congedo obbligatorio;
  • Per fruizione dei congedi parentali;
  • Intimazione del licenziamento in forma orale

In tutti questi casi resta ferma la possibilità del lavoratore di sostituire la reintegrazione sul posto di lavoro con una somma a titolo di indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione percepita non soggetta a contribuzione previdenziale.

Ora che ho tentato un po’ di chiarezza su come attualmente stanno le cose vorrei puntare l’attenzione su alcuni aspetti un po’ meno tecnici ma ugualmente fondamentali. Consapevole che già oggi, vista la realtà economica in cui viviamo, per la maggior parte dei lavoratori il famoso art.18 resta un miraggio, siamo comunque in presenza di una norma che crea ulteriori disparità tra i lavoratori. Questa infatti si applica solo alle assunzioni a tempo indeterminato avvenute in aziende che già superavano i limiti di dimensione per l’applicazione dell’articolo 18 a partire dal 7 marzo 2015, per i lavoratori assunti precedentemente nulla cambia. Mi immagino quale dev’essere lo stato d’animo di una persona che sa che i suoi colleghi sono garantiti mentre in caso di eventuali problemi il suo licenziamento è solo una mera questione di convenienze economiche aziendali. Se invece un’azienda supera i limiti per l’applicazione dell’articolo 18 in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute dopo il 07 marzo 2015, la nuova normativa vale per tutti. Per i dipendenti di aziende con meno di 15 dipendenti invece nulla cambia rispetto a prima quindi effettivamente non ci sono più lavoratori di serie A e di serie B, sono riusciti a creare anche quelli di serie C.

Apprezzo indubbiamente che siano stati eliminati una serie di contratti atipici che erano ormai utilizzati al solo fine di avere un risparmio contributivo e dipendenti senza alcun tipo di tutela e quindi disponibili a tutto o quasi, al contempo però non posso non sottolineare come sia ancora in vigore la normativa in tema di contratti a termine. Un lavoratore quindi per i primi tre anni potrà essere assunto con una serie di contratti a termine, dunque con garanzie pari a zero, per poi essere assunto a tempo indeterminato cadendo nella nuova disciplina di indennizzi, in sostanza si sta sulla graticola per almeno 5 o 6 anni in totale sperando di stare sempre all’interno della stessa azienda, altrimenti l’iter riparte da capo: francamente mi sembrano un po’ troppi.

A mio parere è prevalso molto più la preoccupazione di far vedere che qualcosa si fa e poco ci si è soffermati nel valutare la reale ripercussione delle norme sulla reale vita delle persone e di conseguenza sulla realtà economica di questo Paese, infatti pare quasi superfluo sottolineare che fino a quando non si hanno un minimo di prospettive per il futuro si resta tendenzialmente immobili, magari nella maggior parte casi tentando di risparmiare il più possibile in vista eventuali, se non addirittura probabili, periodi di mancanza di occupazione. Possiamo dare tutti gli sgravi contributivi che vogliamo alle aziende per le assunzioni ma se non c’è chi ha la possibilità di acquistare beni durevoli e non cosa assumono a fare le imprese se non hanno lavoro da far fare ai nuovi assunti?

Dott.ssa Raffaella Trevisan

(CAF Domus Scaligera)

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