IL GENDER, LA BUONA SCUOLA, LA C.U. STATO/REGIONI E IL CAVALLO DI TROIA DEL PASSAGGIO “5.2 EDUCAZIONE”

Vediamo, in estrema sintesi, di far chiarezza su alcuni passaggi nodali relativi alla questione gender e alla sua effettiva introduzione nelle scuole e a livello legislativo.

Quando il Ministro Stefania Giannini afferma che nella legge LA BUONA SCUOLA non si parla di gender dice formalmente il vero; dice il vero nel senso che non se ne parla e non lo si cita direttamente, ma si aggira la questione sostanziale con espedienti formali, esattamente come fanno tutti gli altri che ne negano l’esistenza…ma la sostanza rimane immutata ed è lì per chi vuole vederla, in tutta la sua gravità.

Quelli che oggi pretendono di tranquillizzare (o forse di sedare?) le proteste, i dubbi e le perplessità con la formuletta magica “il gender non c’è”, “il gender non esiste”, “il gender non è mai esistito”, “ci sono stati solo i gender studies in passato”, omettono, furbescamente, di considerare che gli studi sono legati a delle ipotesi, a delle opinioni, a dei pensieri, a delle teorie. E se ci si prende la briga di indagare l’evoluzione di un percorso che mosse i primi passi in Usa negli anni ’50 con Kinsey, poi con Money, e avanti ancora negli anni ’60 con il femminismo radicale, per passare poi attraverso i Gay and Lesbian studies fino ad approdare oggi ai 58 generi proposti da facebook all’atto d’iscrizione o ai 23 generi riconosciuti dallo Stato australiano, si può ben evidenziare quel filo rosso che porta alle logiche conseguenze di quella sequela di passaggi inquietanti, presenti nelle risoluzioni, nelle indicazioni, nelle raccomandazioni e nella cornice normativa internazionale, europea e nazionale, espressi con formule che una volta decrittate fanno emergere la nuova “etica” da deragliati mentali.

Se nel comma 16 della legge “LA BUONA SCUOLA” non si parla dell’introduzione nel P.O.F. del gender ha poca importanza, perché tutte le regioni italiane, dando il loro unanime assenso (1) in sede di Conferenza Unificata Stato/Regioni al cavallo di Troia del “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”, in data 7 maggio 2015, hanno fatto sì che la teoria gender entri comunque nelle nostre scuole attraverso la pre-formazione del personale scolastico, dato che al punto 5.2 Educazione del suddetto piano è indicato: «Obiettivo prioritario deve essere quello di educare alla parità e al rispetto delle differenze, in particolare per superare gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell’essere donne e uomini, ragazze e ragazzi, bambine e bambini nel rispetto dell’identità di genere, culturale, religiosa, dell’orientamento sessuale, delle opinioni e dello status economico e sociale, sia attraverso la formazione del personale della scuola e dei docenti, sia mediante l’inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa e didattica. Nell’ambito delle “indicazioni nazionali” per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, per i licei, per gli istituti tecnici e professionali, il Governo provvederà dunque ad elaborare un documento di indirizzo che solleciti tutte le istituzioni scolastiche autonome ad una riflessione e ad un approfondimento dei temi legati all’identità di genere e alla prevenzione della discriminazione di genere, fornendo, al contempo, un quadro di riferimento nell’elaborazione del proprio curricolo all’interno del Piano dell’Offerta Formativa».

Il governo, in sostanza, recependo orientamenti ed indicazioni non vincolanti di organismi e consessi internazionali (2), giocando sulla vaghezza ed indeterminatezza dialettica, e facendo leva strumentalmente ed ipocritamente su tematiche a larga condivisione, come quelle della violenza sulle donne e della discriminazione, ha permesso l’ingresso dalla finestra, e sotto mentite spoglie, dell’ideologia gender.

Negare che esista perché non viene citato il termine gender è un artificio che offende anche le intelligenze più elementari.

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(1) Un approfondimento a parte meriterebbe la “unanimità” (necessaria per l’intesa sul piano presentato) conseguita nella citata C.U. Stato/Regioni laddove, per esempio, la Regione Veneto (presidente Zaia ed eventuali delegati) risultava assente; interessante sarebbe conoscere anche se vi fu e quale fu l’assenso tecnico espresso dalla stessa Regione Veneto. Ad oggi non abbiamo ottenuto risposte. Ci resta al momento la certezza, paradossale, che nella campagna elettorale delle ultime regionali consiglieri poi riconfermati e partiti della maggioranza hanno fatto propri i temi della difesa della famiglia naturale…distratti, inadeguati, speculatori, opportunisti? Zaia, Lega Nord, Forza Italia, FdI-AN, Area Popolare e i centristi di tutte le sigle e di tutte le sfumature hanno nulla da dire?

(2) Citiamo qui a titolo esemplificativo il governo Monti che nel 2013 (29 aprile) ha approvato la «Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere», recependo le linee guida per l’uniformazione degli standard legali stilate nel novembre 2006 da un gruppo di organizzazioni internazionali riunitesi a Yogyakarta (Indonesia).

Luca Zampini

Coordinatore provinciale – Progetto Nazionale Verona

POLITICHE DI GENERE

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