Onore a Muammar Gheddafi!

Hanno assassinato Gheddafi. Il Raìs di Libia è morto e noi assistiamo ancora una volta, l’ennesima, allo scempio, al vergognoso oltraggio, alla mistificazione della storia di un Capo di Stato. Nessun rispetto di fronte ad una morte che, se paragonata alla fine media dei nostri politici, esigerebbe onore; una morte che, in quanto tale, dovrebbe quanto meno imporre rispetto. Indipendentemente da cosa si pensi del morto!

Chi vive cercando di rimanere nel solco della Tradizione, sa quale atteggiamento tenere di fronte alla morte, degli amici e dei nemici.  

Le lucide menti e le penne anticonformiste di Pietrangelo Buttafuoco e di Gabriele Adinolfi ancora una volta ci insegnano. Buona Lettura 

ONORE E ARMI IN PUGNO. COME SANNO MORIRE I NOSTRI NEMICI, NESSUNO

Scritto da Pietrangelo Buttafuoco – 21/10/2011

 

Il Rais assassinato armi in pugno

Come sanno morire i nostri nemici, nessuno. Come ha saputo morire il rais, armi in pugno, lo sapevano fare solo i nostri. Come a Bir el Gobi quando con onore, dignità e coraggio sorridevano alla morte. Fosse pure per fecondare l’Africa. Sarà tutto tempo perso, dunque, sporcarne gli ultimi istanti, gravarne di dettagli i resoconti e anche quel disumano reportage sul volto fatto strame – tra sangue e calcinacci – non potrà spegnere il crepitare della mitraglia.

Perché come ha saputo morire Muammar Gheddafi – così ridicolo, così pacchiano e così a noi ostile – come ha saputo farsi trovare, straziato come un Ettore, solo il più remoto degli eroi dimenticato nell’Ade l’ha saputo fare.

Come i nostri eroi. Come nel nostro Ade. Proprio come seppe morire Saddam Hussein che se ne restò sprezzante sul patibolo. Come neppure la più algida delle principesse di Francia davanti alla ghigliottina. Incravattato di dura corda al collo, l’uomo di Tikrit, degnò qualche ghigno al boia, si prese il tempo di deglutire il gelo della forca per poi gridare la sua preghiera: “Allah ‘u Akbar”. E fu dunque fatto morto. E, subito dopo, impudicamente fotografato. Come nel peggiore degli Ade. Per quel morire che non conosciamo più perché gli stessi che fino a ieri stavano a fianco del rais, dunque Sarkozy, Cameron, lo stesso Berlusconi, tutto potranno avere dalla vita fuorché un ferro con cui fare fuoco.

La nostra unica arma è, purtroppo, il doppio gioco. I nemici di oggi sono i nostri amici di ieri – amico fu Gheddafi, ancor più amico fu Saddam Hussein – e quando li portiamo alla sbarra, facendone degli imputati, dobbiamo scrivere la loro sentenza di morte con l’inchiostro della menzogna perché è impossibile reggere il ghigno dei nemici. Perché – si sa – i nemici che sanno come morire, poi la sanno sempre troppo lunga su tutto il resto del Grande gioco. Ed è un lusso impossibile quello di stare ad ascoltarli in un’udienza. Come sanno morire i nostri nemici, nessuno.

L’unica cruda verità della vita è la guerra e solo i nostri nemici sanno creparci dentro. È veramente padre e signore di tutte le cose, il conflitto, ma l’impostura è così forte in noi da essere riusciti a muovere guerra alla Libia dandola per procura, lavandocene le mani, mandando avanti gli altri perché a forza di non sapere morire con le armi in pugno, se c’è da sparare, preferiamo dare in appalto la sparatoria. Giusto come un espurgo pozzi neri da affidare a ditta specializzata. Come sanno morire i nostri nemici, nessuno.

Quando gli eserciti dello zar ebbero ragione del loro più irriducibile nemico, Shamil il Santo – l’imam dei Ceceni, il custode della prima Repubblica islamica nella storia – nel vederselo venire avanti, finalmente sconfitto, non lo legarono a nessun ceppo, a nessuna catena, piuttosto gli fecero gli onori militari per accompagnarlo in un lungo viaggio fino al Palazzo reale dove lo zar, restituendo a Shamil il proprio pugnale, lo accolse quale eroe e lo destinò all’esilio, a Medina, affinché tutta quella guerra, spaventevole, diventasse preghiera e romitaggio.

Come c’erano una volta i nemici, non ce ne saranno più. Ed è per la vergogna di non sapere morire come loro che scacazziamo sui loro cadaveri. Ne facciamo feticcio e se fosse cosa sincera la memoria di ciò che fu, invece che produrre comunicati stampa di trionfo, se solo fossimo in grado di metterci sugli attenti, invece che mettere la morte in mostra, dovremmo concedere loro l’onore delle armi, offrire loro un sudario. Sempre hanno saputo morire i nemici.

E tutti quei corpi, fatti poltiglia dalla macelleria della rappresaglia, nel film della nostra epoca diventano tutti uguali: Benito Mussolini, Che Guevara, Gesù Cristo, Salvatore Giuliano. E con loro, anche i nemici morti ma fatti assenti, tutti uguali: da Osama bin Laden a Rudolph Hess.

Fatti fantasmi per dare enfasi al feticcio, come quel Gheddafi armato e disperato che nel suo combattere e urlare, simile a un selvaggio benedetto dal coraggio e dalla rabbiosa generosità, mette a nudo la nostra menzogna.

A ogni pozza di sangue corrisponde l’onta della nostra vergogna e un Pupo che parla a Radio Uno e annunzia “una notizia meravigliosa” e si rallegra di Muammar Gheddafi, morto assassinato, è solo uno che si trova a passare e molla un calcio al morto. Pupo è come quello che sabato scorso, dalle parti di San Giovanni, vede la Madonnina sfasciata appoggiata a un muro e non sapendo che fare le dà un’altra pestata, non si sa mai. Così come il black bloc, anche Pupo, è una comparsa chiamata a raccolta nella montante marea del nostro essere solo canaglie.

La signora Lorenza Lei, direttore generale della Rai, dovrebbe cacciarlo lontano dai microfoni della radio di stato uno così ma siccome il nostro vero brodo è la medietà maligna, figurarsi quanto può impressionare l’offesa al morto. Pupo, infatti, è l’eroe perfetto per il peggiore degli Inferi, l’Ade cui destinare quelli che non sanno darsi uno stile nel morire.

Fonte: Il Foglio

 

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CAGNETTI PASTORE

Scritto da Gabriele Adinolfi – 21/10/2011

 

La morte di Gheddafi: l’ammonimento degli opinion makers

Gheddafi è stato assassinato.

I media fanno a gara nello spiegarci che ciò è normale ed encomiabile, che lo stesso è accaduto a Ceausescu e a Saddam, a Milosevic e, udite udite, a Mussolini.

Chi pretende di gestire un potere personale finisce immancabilmente così. Questo l’ammonimento.

Dimenticano, per ignoranza o per mala fede non è dato sapere, che quasi tutti quegli uomini sono stati rovesciati dall’esterno, in molti casi con un’invasione militare, e che hanno goduto a lungo, anche post mortem, del sostegno popolare. Ma ciò non conta perché avevano il torto di essere dittatori e questo è sufficiente per venir linciati. Non si sa poi perché questa parola abbia assunto un significato peggiorativo quando a Roma Antica aveva una valenza positiva.

Ma, si sa, ai tempi d’oggi si ha una particolare predisposizione per rovesciare ogni senso e ogni valore.

Dittatori dunque. Dittatori che comunque avevano il conforto della ripetuta elezione popolare.

Né rammentano i nostri grilli parlanti che tutte le nazioni in cui questi dittatori vivevano, dopo le loro morti sono sprofondate come minimo in condizioni di servaggio se non in balìa a guerre civili, etniche, claniche e religiose: un regalo dei “liberatori” ai popoli “liberati”.

Non pretendiamo però dai nostri opinionisti né l’intelligenza né l’onestà, le avessero non farebbero più gli opinionisti. Quindi lasciamoli delirare con la canaglia.

Vogliamo invece soffermarci sul significato del loro ammonimento. Essi propagandano “democrazia” e combattono le “autocrazie”.

È un disegno preciso.

Perché da che mondo è mondo la partecipazione popolare al potere passa solo e sempre attraverso un’autorità centrale, l’Imperatore, il Cesare, il Re della monarchia popolare (da non confondersi con i reucci della Restaurazione) per poi sfociare nel Bonapartismo e infine nel Fascismo (altrove nelle sue varianti baatiste, peroniste ecc).

Perché da che mondo è mondo gli egoismi di classe, gli internazionalismi di casta, lo sfruttamento e l’asservimento passano per l’inpersonalizzazione politica, per l’assenza di

sovranità statale e di responsabilità personali. Senza qualcuno che al di sopra delle parti – ma

riconosciuto dalle parti – funga da arbitro e da guida.

Passano, insomma, per una democrazia di facciata impersonata da intercambiabili camerieri dei banchieri.

L’ammonimento che ci viene dai mediators è quindi questo: abbandonate ogni velleità di sovranità e di costruzione del vostro destino. Siate pecore matte.

Fonte: Noreporter

 

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NOI CIALTRONI

Scritto da Gabriele Adinolfi – 21/10/2011

 

Continuiamo a far finta di niente

Che gli italiani di Libia, i nostri “pieds noirs”, siano contenti della morte del Raìs che li scacciò dalla terra natale, è comprensibile.

Che sia a sua volta soddisfatto chi si sente offeso per gli attacchi di Gheddafi all’italianità, per la mistificazione del fascismo e per la criminalizzazione di un’avventura imperiale che non ha

nociuto affatto alla Libia, è altrettanto comprensibile ma meno giustificabile.

Potrebbe avere qualche ragione se noi avessimo mantenuto sempre rapporti burrascosi con Tripoli, se noi avessimo alimentato la sommossa e, infine, se il Raìs lo avessimo ucciso noi.

Viceversa – e qui bisogna tornare con i piedi in terra – fummo proprio noi italiani a spingerlo al potere ai danni dell’influenza britannica. Profittammo dell’onda lunga della crisi di Suez e dell’atteggiamento americano che fu decisivo per l’espulsione dell’influenza inglese dalla Libia così come lo era stato pochi anni prima per la cacciata dei francesi dall’Algeria.

Nella logica paradossale di un governatorato democristiano, barattammo l’espulsione dei nostri coloni con una nostra colonizzazione democratica e commerciale e così, recuperata la Libia, nella sfera dei nostri interessi, provammo a rientrare nel Mediterraneo dove demmo immediatamente fastidio al trittico di Suez: Londra, Parigi e Tel Aviv.

E da quel giorno subimmo la lunga stagione delle stragi e della “strategia della tensione”, non a caso inventata nella City e promossa dai servizi segreti delle tre capitali testé nominate.

Ecco perché il nostro attuale atteggiamento è ignobile.

Non tanto e non soltanto perché accettiamo di veicolare le calunnie contro chi si è battuto bene e contro un popolo che ha difeso il suo legittimo capo da un’invasione militare straniera che ha armato come esercito di complemento i soliti sciacalli partigiani. Non tanto e non soltanto perché accettiamo di collaborare con chi ha attaccato i nostri interessi vitali, sia politici che economici che energetici ed ha mosso una vera e propria guerra all’Eni.

Siamo ignobili perché abbiamo stracciato un trattato politico con Tripoli ed abbiamo cambiato

campo e bandiera.

Siamo ignobili perché la nostra scelta politica di quarantadue anni fa, la nostra ambizione, la nostra audacia, la nostra incoscienza, hanno fruttato migliaia e migliaia di vittime innocenti, bombardate in piazze, treni e stazioni dai nostri “alleati” e alla fine non sono servite a niente.

Sono state tradite con il silenzio della “ragion di Stato”, sono state tradite con la nostra eterna mancanza di reazione e sono state non solo tradite ma insultate oggi. Oggi che fingiamo di essere contenti protagonisti dell’assassinio di un Capo di Stato che spingemmo noi al potere subendone, o meglio facendone subire alle nostre folle, le feroci rappresaglie anglo-franco-israeliane.

Siamo veri e propri cialtroni.

Fonte: Noreporter

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