A CASA NOSTRA DISCRIMINATI PERCHÈ ITALIANI

Detrazioni per familiari a carico

 Forse non tutti sanno che la Legge n.296/2006 (Finanziaria 2007) all’art.1, comma 1325, ha previsto la possibilità per i cittadini stranieri residenti in Italia di usufruire delle detrazioni per familiari a carico anche se questi risiedono ancora all’estero. Letta così nulla di male, in fin dei conti se un familiare è effettivamente a carico sembra giusto che chi lo mantiene possa usufruire anche delle relative detrazioni.

Facendo un passo indietro, per i non addetti ai lavori parliamo di detrazioni d’imposta intendendo degli importi che vanno a sottrarsi all’imposta totale dovuta allo Stato in ragione di specifiche situazioni personali o di spese sostenute dal contribuente, secondo il vigente Testo Unico Imposte sui Redditi, art. 12 comma 1, nello specifico quelle relative ai familiari a carico arrivano ad un massimo di € 950,00 per ciascun figlio a carico, aumentata a € 1.220,00 se minore di tre anni, che decrescono all’aumentare del reddito, più un ulteriore detrazione  di €  1.200,00 annui in caso di nuclei familiari con quattro o più figli (comma 1-bis). Ci sono poi € 750,00 euro per ogni altra persona indicata nell’art. 433 del codice civile che conviva con il contribuente o percepisca assegni alimentari non risultanti da provvedimenti dell’autorità giudiziaria. Al comma 2 invece è stabilito che le detrazioni di cui ai commi 1 e 1 bis spettano a condizione che le persona e cui si riferiscono possiedano un reddito complessivo non superiore a 2.840,51 euro lordi.

Dall’applicazione nella realtà delle norme in esame nascono i problemi e le discriminazioni.

La circolare dell’Agenzia delle Entrate n.15/E del 05 marzo 2008, specifica che i lavoratori extracomunitari residenti che vogliono usufruire delle detrazioni per familiari residente all’estero devono richiedere all’amministrazione finanziaria che venga loro attribuito un codice fiscale italiano fornendo in alternativa:

  1. documentazione originale prodotta dall’autorità consolare del Paese d’origine, con traduzione in lingua italiana e asseverazione da parte del prefetto competente per territorio;
  2. documentazione con l’apposizione dell’apostille (certificazione che convalida, con pieno valore giuridico, sul piano internazionale l’autenticità di qualsivoglia atto pubblico – ndr), per Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione dell’Aja del 05 ottobre 1961;
  3. documentazione validamente formata dal Paese d’origine, ai sensi della normativa ivi vigente, tradotta in italiano e asseverata come conforme all’originale dal consolato italiano del Paese d’origine.

La documentazione deve certificare il grado di parentela e lo status di familiare a carico. Trattasi di documentazione ufficiale sulla quale nessuno ha nulla da eccepire se non che la stessa circolare specifica che “La richiesta di detrazione, per gli anni successivi a quello di prima presentazione della documentazione sopra richiamata deve essere accompagnata da dichiarazione che confermi il perdurare della situazione certificata ovvero da una nuova documentazione qualora i dati certificati debbano essere aggiornati”, inoltre una successiva circolare dell’Agenzia delle Entrate, la n.34/E del 40 aprile 2008, chiarisce che “Resta fermo che, con la richiesta rivolta al sostituto di fruire delle detrazioni o con la sottoscrizione della dichiarazione, il contribuente attesta implicitamente, sotto la sua responsabilità, che il familiare possiede un reddito, riferito all’intero anno, non superiore a 2.840,51.  Traducendo in soldoni è tutto delegato alla buona volontà del singolo contribuente che autocertifica la situazione del familiare a carico.

E’ vero che lo stesso vale per i familiari residenti in Italia ma qui esiste un’amministrazione finanziaria centrale che abbina i dati in base ai codici fiscali per cui, se qualcuno fruisce delle detrazioni per un familiare che in Italia ha lavorato guadagnando in un anno più di € 2.840,51 euro, è quasi impossibile che non incorra in controlli, obbligo di restituzione di quanto indebitamente percepito, sanzioni e interessi, sarei proprio curiosa di vedere come gli stessi controlli incrociati vengono fatti con l’amministrazione finanziaria del Senegal, Ghana o altri Paesi con simili gradi di informatizzazione…

Tutto sommato però questo non è il problema più grave. Come abbiamo visto il limite di reddito per non essere più considerati a carico da un punto di vista fiscale è di € 2.840,51, una miseria se si considera che corrisponde a meno di due mesi di lavoro in regola, di fatto se uno studente universitario si trovasse un lavoro in regola nei fine settimana quasi certamente a fine anno non risulterebbe più a carico dei genitori i quali perderebbero non solo le detrazioni che abbiamo visto prima ma anche la possibilità di detrarsi le relative spese mediche, di istruzione, ecc., andando quasi a vanificare il beneficio economico che deriva dall’aver trovato un lavoro da parte del figlio.

Per i residenti all’estero la situazione è ben diversa. Si consideri che nei paesi Africani dai quali provengono circa il 21% degli immigrati residenti nel nostro Paese (fonte Centro Studi e ricerche IDOS) il reddito medio procapite mensile va da € 90,00 a € 160,00 mentre in Italia si attesta attorno ad € 1.560,00. Considerando che non esistono limiti di età per i familiari a carico (possono esserlo tranquillamente anche se maggiorenni) qualcuno dovrebbe avere la compiacenza di spiegarmi perché un ragazzo italiano di vent’anni che trova lavoro per un paio di mesi non è più considerato a carico dei genitori (anche se di fatto da un punto di vista di vita reale resta sempre comunque a carico loro per il mantenimento), mentre un ragazzo ad esempio egiziano che lavora tutto l’anno percependo magari anche € 200,00 mensili, superiori al reddito medio del suo Paese e che quindi gli consentono di mantenersi in modo assolutamente dignitoso, continua a considerarsi a carico dei genitori, o del genitore, che vive e lavora in Italia, con relativo mancato incasso da parte dello Stato? E il tutto restando nella totale e assolta legalità.

Non si sta parlando di cifrette perché, come visto prima le detrazioni per figli a carico sopra i tre anni di età arrivano fina a € 950,00 annui a cui vanno aggiunti ulteriori € 1.200,00 per famiglie con 4 o più figli, situazione molto rara nelle famiglie italiane ma non inusuale in famiglie di altre nazionalità.

Il totale del costo di questo provvedimento non è facile da calcolare perché, come detto prima, la nostra amministrazione finanziaria ragiona per codici fiscali che riportano il Paese di nascita e non quello di residenza, ma fosse anche uno solo la trovo comunque una profonda ingiustizia.

Non solo, trovo che questo provvedimento possa considerarsi addirittura incostituzionale. L’art. 53 della Costituzione infatti recita “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività” attualmente invece siamo in presenza di una situazione che, restando ripeto perfettamente nella legalità, permette a cittadini stranieri residenti sul suolo italiano di fruire di detrazioni per familiari a carico anche se questi lavorano e percepiscono un reddito che permette loro di mantenersi in tutta tranquillità, e al contempo nega lo stesso diritto a cittadini italiani che hanno dei figli di fatto a carico e che devono mantenere in tutto e per tutto ma che fiscalmente non sono più considerati tali perché in un anno hanno avuto l’ardire di lavorare regolarmente per un paio di mesi…giustizia sociale?

Dott.ssa Raffaella Trevisan

Progetto Nazionale – Verona

Circolo “Domus Scaligera”

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