IL 1° MAGGIO IN RICORDO DEI FUCILATI DI FORTE AZZANO

Sandro Bonamici

Raffaello Bellotti

Luigi Di Fusco

Arturo Gabozzi

Giuseppe Gaggia

Ilio Onesti

Giovanni Ostini

Giuseppe Seves

Otto nomi che ai più non dicono nulla, e sui quali, peraltro, si sa e si trova poco o niente a livello informativo e documentale: qualche testimonianza dell’epoca, qualche citazione qua e là su pochissimi testi e in rete. Si sa per certo però che Bonamici era persona onesta, che sempre si era adoperato a favore della popolazione e non si era macchiato di angherie o persecuzioni di sorta; Giuseppe Gaggia sembra fosse stato accusato da qualcuno d’esser spia fascista; Ilio Onesti era invece ufficiale comandante del 91° Corpo Volontari Vigili del Fuoco di Verona…ignoriamo notizie biografiche degli altri.

Una lapide sul muro di Forte Azzano ne ricorda la fucilazione ad opera di un plotone d’esecuzione di partigiani il 1° maggio 1945 (c’è chi sostiene che in realtà la fucilazione avvenne il giorno precedente); una controversa pagina di storia locale, inscritta nelle atrocità commesse in Italia dopo il 25 aprile, quando la guerra civile era solo teoricamente terminata.

In alcune regioni d’Italia – Emilia su tutte – presero il via invece anni di terrore con decine di migliaia di morti, che alcuni tenaci e coraggiosi storici portarono alla luce (pensiamo ai lavori di ricerca dei fratelli Pisanò, Giorgio e Paolo, di Antonio Serena, di Marco Pirina, di Ernesto Zucconi, di Gianfranco Stella, etc.). Anche nel veronese affiorò un tragico elenco di episodi e di vittime; almeno una cinquantina (secondo i dati raccolti dall’Associazione Caduti e Dispersi della Repubblica Sociale Italiana) gli ammazzati dopo il 1945 nella nostra provincia (agghiacciante la sorte del maggiore della GNR Maggini Augusto, che morì in carcere in seguito alle violenze e alle sevizie patite il 29/08/1948); alcuni passati per le armi, altri sentenziati a morte dalla Corte d’Assise Straordinaria (CAS) che operò fino all’entrata in vigore dell’amnistia voluta dall’allora Ministro della Giustizia Palmiro Togliatti nella primavera del 1947; non pochi dubbi macchiano peraltro la regolarità di quei procedimenti processuali, tra pressioni psicologiche, interferenze esterne e mancanza di serenità nel giudizio.

La vicenda di Alessandro Bonamici è emblematica della catena d’odio e rappresaglie che insanguinò l’Italia ben oltre la cessazione delle ostilità. Esponente di spicco del Partito Nazionale Fascista a cui aveva aderito fin dagli inizi, fu Federale di Verona fino al 1943, arrestato dai tedeschi dopo lo sciagurato 8 di settembre 1943, fu deportato inizialmente in Germania rientrando successivamente in Italia; il 25 aprile si trovava all’Ospedale di Quinto di Valpantena, non essendosi mai macchiato di crimini e non essendosi reso protagonista di atti contro i partigiani, in buona fede si consegnò spontaneamente presso il comando partigiano.

Nessun processo nei suoi confronti e nei confronti degli altri sette suoi compagni di sventura; non fu mai chiarito chi fu a prendere la decisione di fucilare gli otto prigionieri a Forte Azzano, se i vertici del locale Comitato di Liberazione Nazionale o se si trattò invece di una iniziativa di singoli(1). Ma quale fu la logica, “legittimante” a detta dei partigiani(2), che rese possibile l’assassinio di innocenti ed onesti? Quella dell’oppressione, presunta o reale, subita durante il regime, ergo anche onesti e innocenti potevano esser passati per le armi senza processi e sentenze a guerra finita. E senza scontare il fio…

La Repubblica “nata dalla Resistenza”?

Luca Zampini

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Note

(1) Le poche testimonianze in seno al locale Cln sono divergenti: ci fu infatti chi sostenne, come Gianfranco De Bosio, membro del Cln in quota Democrazia Cristiana, la non responsabilità dei vertici del Cln in merito alla decisione di fucilare Bonamici e gli altri a Forte Azzano:

Questa azione, come ricorda Gianfranco De Bosio, membro per Democrazia Cristiana del Cln Veronese, provocò non pochi problemi con il Capitano Bean dell’esercito Inglese:

“(…)La notte successiva alla liberazione Bean mi svegliò inferocito: a Montecchia di Crosara c’era un gruppo di partigiani che voleva trucidare i prigionieri fascisti. Mi mandò con una macchina alleata a fermarli». Sveglia notturna ripetuta il primo maggio, con traduzione da parte degli inglesi dei membri del CNL in prefettura, «più sotto arresto che per consultarci». A Forte Azzano i partigiani avevano fucilato, oltre i termini stabiliti dal CNL per la giustizia sommaria, otto prigionieri, tra cui l’ultimo segretario federale fascista di Verona, Sandro Bonamici.

Fonte: L’Arena del 24/04/15 http://www.larena.it/home/cultura/cultura-veronese/io-disarmato-e-nascosto-mentre-saltavano-i-ponti-1.3167627

E sempre De Bosio alza il tiro contro il Comunista Renato Tisato:

(…)Non solo il Cln non ha dato quell’ordine (di fucilare Bonamici), ma l’ha chiaramente condannato. Bonamici non era un personaggio rappresentativo del regime. Era un poveraccio. Sicuramente qualcuno è stato giustiziato inutilmente. Uno dei fucilati era il fratello del mio barbiere, un certo Gaggia, accusato di essere stato una spia. Queste fosche vicende ci hanno procurato grosse grane con il comandante della polizia inglese, un maggiore rosso di capelli che ci odiava cordialmente. Ci ha mandati a prendere di notte a casa e ci ha fatti condurre in prefettura più sotto arresto che per consultarci. Chi avesse sparato non lo so, anche se l’ordine era sicuramente venuto dal nostro comandante di piazza, Renato Tisato.

Era mio amico d’infanzia, figlio della mia maestra elementare, e siamo cresciuti assieme nella parrocchia di San Giorgio. Durante la resistenza era del Partito d’azione, poi è diventato comunista.

Nel 1961 ci sarà un processo per diffamazione intentato dal senatore, Giovanni Uberti, e da Raniero La Valle, direttore del «Corriere del Mattino», contro Carlo Manzini, consigliere comunale, direttore del settimanale «Il Gardello». Poteva non sapere Giovanni Uberti, allora prefetto di Verona – si chiede Carlo Manzini – della strage di fascisti decisa dai partigiani e consumatasi con le fucilazioni di forte Azzano, dove trovarono la morte otto fascisti, tra cui Bonamici? Uberti sostiene che non ne sapeva nulla e che anzi appena informato prese provvedimenti per evitare il ripetersi da parte dei partigiani di altri crimini. La decisione era stata presa dai comandanti partigiani del Cln in una riunione a Beccacivetta, quindi lontano da Verona, senza informare le autorità. Al processo depone anche don Carlo Signorato, che fece un estremo tentativo per salvare i fascisti, così evocato:

Mi recai sul luogo senza nemmeno avere il tempo di avvertire il vescovo. Prestai disperatamente la mia opera di persuasione, ma tutto fu vano. Quando già i comandanti sembravano perplessi sul da farsi, fu una donna che determinò la decisione gridando ‘copémoli’ 278.

Carlo Manzini sarà condannato per diffamazione, avendo il tribunale concluso che Giovanni Uberti non porta nessuna responsabilità per la strage di fascisti perpetrata dai partigiani. Opposta ovviamente la versione di Manzini, che al processo dichiarò:

Mi trovavo con altri nel palazzo Ina. Tra il 27 e 28 aprile 1945 sapemmo che una trentina di fascisti dovevano essere fucilati e che si stava trattando in Prefettura per la fucilazione. Sapemmo anche che in Prefettura si stava trattando per limitare il numero di coloro che dovevano essere fucilati. Un fotografo americano venne a scattare delle fotografie e poi si allontanò. Alle 10 di sera del 30 aprile ci furono gli interrogatori e io mi salvai perché nella mia cartella non c’era alcuna imputazione. Un partigiano lesse da un elenco i nomi degli otto che dovevano essere fucilati.

Due di essi mi raccomandarono le loro famiglie e di riabilitare la loro memoria. Io mi misi quindi alla ricerca della verità…Pubblicai sul “Gardello”, nel ’52, tutti gli atti relativi al procedimento contro alcuni dei fucilati (…).

«Cercai di impedire la fucilazione dei fascisti», assicura Vincenzo Casati, deputato della Democrazia Cristiana, intervistato da J. Pierre Jouvet, a proposito degli otto assassinati dai partigiani il 1º maggio 1945 al forte di Castel d’Azzano, tra cui Sandro Bonamici, il quale «non aveva mai fatto del male a nessuno» (…)

Fonte: “VERONA. La guerra e la ricostruzione”, a cura di Maristella Vecchiato, Rotary Club Verona Nord 2006-2007, pag.34 http://www.univr.it/documenti/AllegatiOA/allegatooa_8768.pdf

 (2) Diversi anni orsono, in una intervista al Tg di Telenuovo, Renato Butturini, presidente dell’ANPI veronese, giustificò l’atto come decisione legittima e regolare presa dai «membri del governo della città di allora», e non iniziativa arbitraria di un gruppo di delinquenti o sbandati…

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One comment

  1. Io sono il nipote di Luigi Di Fusco, uno degli otto fucilati di forte d’Azzano. A disposizione per qualche chiarimento chiarimento sulla persona di zio Luigi Di Fusco……!!!!!!!!!!!

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