DUE PAROLE

A chiusura d’anno pubblichiamo l’ennesimo scritto di Gabriele Adinolfi. Impietoso, lucido, centrato  e allo stesso tempo polare (nel senso dell’orientamento…).

Il suo bilancio del 2012, autentico annus horribilis, su tutti i fronti e in tutti gli ambiti, non abbisogna di particolari aggiunte e trova chi scrive queste brevi note completamente concorde.

Nell’auspicio di saperne fare tesoro per un 2013 di lotta, e magari di qualche nella Piccola e nella Grande Guerra Santa, ve lo proponiamo per una proficua riflessione.

DUE PAROLE

(scritto da Gabriele Adinolfi; venerdì 28 dicembre 2012)

A chiusura di un anno rovinoso

 Sta per concludersi uno dei peggiori anni della nostra storia.

Anno di desolazione e di scientifica distruzione della società e della nazione ad opera dei tecnici della Goldman Sachs e della Trilaterale impegnati in un vero e proprio Piano Morgenthau per l’Italia.

Tutto questo è drammatico e tragico ma c’è molto di peggio ed è la totale assenza di dignità con cui abbiamo accompagnato il genocidio che stiamo subendo nonché lo smarrimento di ogni dimensione che si trovi al di sopra del piatto e fuori dal virtuale.

Lo comprovano le reazioni superficiali e sciatte allo stillicidio dei suicidi quotidiani dei beneficiati del “Salva-Italia” e le scarse mobilitazioni dei lavoratori in difesa del posto e dei diritti calpestati.

Questa mancanza di dignità risalta ancor di più dalla maniera con cui sono state accompagnate due questioni emblematiche diverse eppur simili: gli europei di calcio e la vicenda dei Marò in India.

Nel primo caso abbiamo subito la più secca e umiliante sconfitta mai inferta ad una nazionale in una finale di calcio. Ma anziché richiedere l’arresto dei responsabili abbiamo battuto loro le mani perché l’importante era farsi accettare nell’era del multirazzismo con una nazionale costruita appositamente, piena zeppa di naturalizzati, per accompagnare il cammino giuridico verso lo Ius Soli, elemento indispensabile per la realizzazione del Piano Morgenthau.

I Marò li abbiamo prima consegnati per poi trattare con toni blandi e obliqui e infine, una volta che sono venuti in Italia in licenza sulla parola, stiamo pensando a quale artificio inventare per trattenerli qui, rompendo la parola e dimentichi che Roma si fonda anche e non poco sull’esempio di Attilio Regolo.

 Un duemiladodici d’area

Macro e micro: quel che vale per l’intera collettività della Penisola vale anche per quell’area che, per lascito e orientamento, dovrebbe essere ben diversa.

Il 2012 è stato un disastro anche per il micro. E’ iniziato con il ferimento di Francesco Bianco e con il 7 gennaio più imbarazzante della nostra storia. E’ proseguito all’insegna degli scollamenti e delle implosioni fino a quello che abbiamo definito “il grande meriggio dei post-fascisti”.

E l’impressione è che, tra i sussulti d’orgoglio e le forti velleità che caratterizzano alcune sue componenti, siano comunque in pochi ad avere la percezione esatta di quel che accade e di come si possa capitalizzare questa situazione mettendosi al servizio impersonale della nazione e dell’idea.

I motivi per cui ciò accade in fondo in fondo sono molto semplici.

Jacques Doriot, l’ex capo comunista francese che dalla sua roccaforte di Saint-Denis capeggiò la rivolta alle ingerenze moscovite per dare poi vita a quel PPF che sarebbe stato il soggetto più importante della Collaborazione, ebbe opportunamente a osservare: “Non può esistere una perfetta regolarità nei rapporti tra il costante e l’incostante, tra l’immobile e il mutevole, tra la roccia e l’onda. Una, l’idea, resta stabile, l’altra le si avvicina o le se allontana. È dunque normale che un movimento che si compone di una categoria fissa, l’idea, e di una mobile, gli uomini, sia soggetta a fluttuazioni”.

Giusto: il problema è che i fluttuanti si convincono di essere non gli interpreti dell’idea ma l’idea stessa e la rendono così mobile per distorsione.

Prosegue Doriot: “Non è l’immutabilità degli uomini la forza di un movimento, lo è l’idea, la forza creatrice dell’idea, la giustezza storica dell’idea, la permanenza dell’idea. L’idea è una, gli uomini sono molteplici e volubili”.

E se ci s’identifica nell’idea senza distinguere tra roccia ed onda, se si presume di essere l’idea o se si pensa che l’idea sia un prolungamento dell’io (o del noi) ci si lascia prendere dall’urgenza quotidiana, dalle problematiche e dalle competizioni, dai successi e dagli insuccessi e la si mette in scena in un continuo social network a prescindere dalle proprie reali intenzioni.

Ed è per gli stessi identici motivi che ogni competizione in cui ci s’impegna si snoda su di un piano orizzontale e che a darle un senso al di sopra della farsa è un puro e semplice vitalismo, sublimato dall’appartenenza di sangue dei Presente!

Onda dopo onda

Distratti dalle urgenze quotidiane, a furia d’implicizzare l’essenziale abbiamo finito con il dimenticarlo.

Le onde rispetto alla roccia si sono comportate in questa maniera.

Negli anni settanta è stata data un’importanza pressoché univoca all’aspetto esistenziale e guerriero, fino a sottovalutare in modo eccessivo tutti gli aspetti sociali e politici.

Successivamente è stato dato un rilievo pressoché maniacale alle cospirazioni mondialiste e alle manovre consequenziali, in particolare all’immigrazione.

Poi c’è stata la confusione tra Principi e Valori e l’assolutizzazione di questi ultimi, che sono in fondo cosa vuota, fino alla loro ideologizzazione nell’integralismo “religioso” totalmente regressivo.

Infine c’è stata la riscoperta del fascismo sociale, e delle figure piene di vitalità in cui rispecchiarsi con orgoglio e con ridente egocentrismo.

A ben vedere ad ogni giro generazionale c’è stata l’esaltazione di un piano a scapito degli altri.

Ed è tempo di rannodarli tutti.

Ci fu un numero non insignificante di modesti eroi sacrificali che si sono dati senza mai pretendere di confondere il proprio dono con il proprio io (sono stati tanti e ce ne sono ancora, magari tuttora dietro le sbarre). Che oltre a loro si debbano contare numerosissimi disertori da ogni dovere o impresa che si sono riempiti la bocca e il petto con le parole che per i primi son state verbo, atteggiandosi ad aristocratici o a superuomini pur essendo pagliacci, ha però determinato che i richiami tradizionali siano divenuti alibi e buffoneria e siano stati rigettati dalle generazioni a seguire.

Onda dopo onda, non è il caso di fare processi.

Ma è il caso di ricordare quanto è fondamentale: ovvero che il fascismo sociale e vitalista non è divisibile dai Principi ma se non si parte – consapevolmente e con un’azione costante su di sé – dalla considerazione che sono questi che formano quello e non viceversa, non si parte proprio.

Se lo dimentichiamo, non potremo mai, ma poi mai, fornire un’alternativa alla palude di oggi.

 Onore e Stile

Non staremo qui a snocciolare i Principi, ci limitiamo a ricordarne, rammentarne e, speriamo, rimembrarne due, la cui assenza dal pensiero quotidiano è la causa principale del vagare senza senso dell’Italia di oggi: Onore e Stile.

Con la loro assenza si spiega tutto quanto accade, in loro presenza non succederebbe nulla di ciò.

Avere coscienza – sempre – che ogni cosa dev’essere dettata dall’Onore e volta all’Onore, al quale tutti, nessuno escluso, devono essere subordinati, a costo di sacrificare l’orgoglio e l’io, il successo, l’incasso e il risultato.

Comportarsi in ordine con l’Onore significa assumere – sempre – lo Stile; che non è il modo in cui ci si veste e neppure quello, comunque più importante, in cui ci si muove, ci si esprime o si gestisce. Ma che vuol dire, ad esempio, non calunniare, non diffamare, non sminuire gli altri, non cercare di rimpicciolirli né di farsi grandi della loro piccolezza. Non agitarsi per ottenere successi tangibili per i quali fare la ruota o procedere come galletti. Non individualizzare, non tribalizzare, non frammentare, non atomizzare, non prendersi per l’assoluto. Servire con nobiltà.

Con ambo i Principi interiorizzati si acquisisce anche quel senso del ridicolo che smarrisce invece chi non ha la percezione del tragico e del metafisico e che non a caso oggi sembra quasi totalmente smarrito.

Ci sono molte cose da fare per non perdere il prossimo treno: ne abbiamo già parlato lungamente e ci ritorneremo. Ma innanzitutto si dovrà partire da quelle due parole (che siano verbo!) che sono il vero e proprio differenziale rispetto all’attuale modo di pensare e di vivere. E che vanno sia interiorizzate che tenute a mente quando si valuta tanto quel che accade quanto il proprio operato.

Onore e Stile – che si fanno forma nel socialnazionale – oppure niente.

Chiassoso, sgargiante, spaccone quanto si voglia, ma pur sempre niente.

Perché lo scontro di civiltà non è soltanto tra forme politiche e sociali ma si fonda su parametri molto più alti e profondi.

E non ci sono altezze che non siano profondità. E viceversa.

Fonte: Noreporter

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