Pubblichiamo con estremo onore e gratitudine questa lettera inizialmente fattaci pervenire sul nostro contatto Facebook (Fiamma Verona) giovedì 9 Febbraio dal camerata Luca Tamburini, del nostro Circolo “Baldo-Garda”.
Da figlio e nipote d’esuli, egli esprime con semplicità, schiettezza e sincerità quanto gli Italiani ancora degni di tal nome sentono e pensano; pensieri, parole, storie ignorate, dimenticate o peggio ancora negate dai “patrioti” dell’ultima ora, quelli con la coccarda tricolore per i 150 anni dell’Unità (!?) d’Italia, i guardiani dei dogmi costituzionali (solo alcuni, però…). Quelli che vorrebbero addomesticare, mistificandola, una pagina vergognosa della Storia, nell’attesa che tempi “migliori” la confinino nuovamente nell’oblio.
Grazie Luca!
Alalà
Istria, Fiume, Dalmazia: l’Italia dimenticata
Si avvicina il 10 febbraio il giorno del ricordo; dopo la foga dei primi anni in cui fu istituito questo giorno, ormai l’argomento sembra aver perso interesse a livello politico e mediatico visto che anche il compagno Fini, che fu uno di coloro che promosse l’iniziativa, lo snobba spudoratamente e il tutto si risolverà con le solite ipocrite celebrazioni e le altrettanto ipocrite parole dell’uomo col pannolone. Perché in realtà questo giorno dà ancora molto fastidio alla politica e ancora non si capisce cosa l’abbiano istituito a fare se poi chiunque può permettersi di ripudiarlo, anche pubblicamente, senza subire conseguenze; insomma la questione dei confini orientali non è ancora risolta. Molti, soprattutto a sinistra, hanno sempre liquidato l’argomento con la solita filastrocca “erano soltanto quattro fascisti”, “erano solo degli assassini” e così via , nessuno si è mai soffermato ad analizzare i fatti: in Istria, Fiume e Dalmazia furono assassinate tra le 10˙000 e le 20˙000 persone di ogni etnia, credo politico e classe sociale e allo stesso modo l’Esodo riguardò tutti gli abitanti della zona che abbandonarono tutto pur di mantenere la cittadinanza italiana; ma facciamo un passo indietro. Sull’italianità della Venezia-giulia si è discusso molto, a sentire gli slavi, soprattutto i croati, quelle terre sono sempre appartenute a loro: beh forse dovrebbero studiarsi meglio la storia di quelle terre. L’Istria è stata conquistata dalla Roma repubblicana nel II secolo a.C. e fu completamente romanizzata già dal II secolo d.C., infatti già nel 27 a.C. l’imperatore Augusto spostò i confini dell’Italia fino a comprendere tutta l’Istria, e lo stesso imperatore nel suddividere l’Italia in regioni a seconda delle popolazione che le abitavano, mise l’Istria insieme a tutto l’attuale Triveneto. Dopo la caduta dell’Impero d’Occidente anche la Venezia-Giulia come il resto dell’Impero subì svariate invasioni barbariche che però furono di breve durata e non modificarono le etnie che abitavano la zona, che rimase sempre sotto l’influenza dell’impero bizantino fino al X secolo, per poi passare sotto la Serenissima fino alla sua caduta nel 1797. Le prime popolazioni slave arrivarono proprio grazie alla Serenissima, che per ripopolare le zone interne, rimaste disabitate per carestie e pestilenze, fece emigrare queste genti dalle terre limitrofe; ovviamente la migrazione fu limitata ad alcune zone dell’entroterra che comunque manteneva una maggioranza italiana; le coste invece erano abitate quasi esclusivamente da istro-veneti. Proprio in questo periodo ci venne lasciato un autorevole attestato d’italianità niente meno che da Dante Alighieri che ne “La divina commedia” scrisse: «Si come ad Arli, ove ‘l Rodano stagna, si com’a Pola presso del Quarnaro, ch’Italia chiude e i suoi termini bagna», facendo capire anzitutto che l’Italia non era un’espressione geografica ma una nazione con solide fondamenta e che l’Istria faceva parte di questa nazione indicando Pola come confine orientale dell’Italia. Anche grazie alla stabilità politica portata dalla Serenissima la convivenza tra slavi e italiani è stata pacifica per secoli fino all’arrivo degli austriaci. Infatti Venezia cadde per mano di Napoleone, ma la parentesi francese fu molto breve e venne ceduta all’Impero Austriaco, e qui cominciarono i problemi: gli austriaci non vedevano di buon occhio l’egemonia italiana della Venezia-Giulia e da subito cercarono di destabilizzare la zona per controllarla meglio, vennero fatte migrazioni forzate di popolazioni slave in massa verso i territori italiani costringendo molti italiani a cambiare aria con la forza, l’Imperatore nominò nella zona solo vescovi slavi, insomma tutta una serie di azioni volte a de-italianizzare la Venezia-Giulia, purtroppo questa azione fu abbastanza efficace in Dalmazia dove gli Italiani erano sì l’etnia prevalente, ma che arrivava ad 1/4, massimo 1/3, del totale, il resto erano minoranze di slavi, greci, austriaci, albanesi e turchi; quindi l’invasione attuata dall’Austria convinse molti italiani a spostarsi: o sulla penisola o più a nord a Fiume o in Istria o a Venezia. Come dicevo queste migrazioni sortirono l’effetto sperato solo in parte in Dalmazia, poiché a Fiume e nell’Istria fino al 1945 la popolazione italiana sarà sempre ben oltre il 90% del totale. In questo periodo si pongono le basi per i fatti che avverranno dopo la seconda guerra mondiale; infatti le politiche austriache danno luogo a molti scontri tra italiani e slavi fomentati soprattutto non tanto dagli slavi che abitavano lì da generazioni, ma da quelli appena arrivati che, come gli attuali immigrati, puntavano a prendere il posto degli italiani ottenendone i beni e le terre come fosse un loro diritto sacrosanto e nel giro di pochi anni l’astio coinvolse anche coloro che volevano convivere pacificamente. In tutta Italia intanto stava iniziando il Risorgimento e con esso iniziava anche il fenomeno dell’Irredentismo; insomma stava nascendo una coscienza collettiva in tutti gli italiani un’unica volontà: quella di riunire l’Italia. L’instabilità della Lombardia e del Triveneto allentarono la morsa austriaca sulla Venezia-Giulia che rimase in una situazione di stallo fino al 1914. Allo scoppio della guerra, causato proprio da quegli stessi slavi di cui l’Impero voleva servirsi per i suoi loschi scopi, l’Italia rimase neutrale fino patto di Londra con il quale l’Italia scioglieva i suoi impegni con Austria e Germania per allearsi con Francia, Inghilterra e Russia contro Austria, Germania e Turchia in cambio l’Italia doveva ottenere le terre irredente cioè quei territori italiani ancora sotto dominio austriaco: Trentino, Trieste, Istria, Fiume e Dalmazia. A guerra finita i patti non furono rispettati, e all’Italia vennero negati Fiume e la Dalmazia. Così D’Annunzio iniziò l’Impresa di Fiume ma la sua Reggenza fu interrotta dai bombardamenti italiani nel Natale 1920. Sarà il Duce a restituire all’Italia Fiume e Zara nel 1924 con il Trattato di Roma. A onor del vero bisogna ammettere che negli Anni ‘20 iniziarono le prime rese dei conti tra italiani e slavi, con pestaggi e prepotenze di vario tipo, ma contrariamente a quanto dicono alcune fonti storiche di dubbia provenienza l’Italia non privò mai le popolazioni slave dei loro diritti fondamentali e non vi fu mai nessun tentativo di liberarsi delle popolazioni slave né con le buone né con le cattive come si suol dire, e nelle scuole italiane vi erano bambini di tutte le etnie, basti pensare che Giacomo Vuxani, vice-prefetto di Zara nel’44 era italo-albanese. Inizia la Seconda Guerra Mondiale, nel ’41 Italia e Germania invadono la Jugoslavia, dove i popoli slavi si divisero in due, i partigiani e i filo tedeschi e nei Balcani si consumarono i più brutali combattimenti e rappresaglie di tutta la guerra ai quali parteciparono sicuramente gli italiani e i tedeschi, ma nella maggioranza furono scontri fratricidi avvenuti tra gli Ustascia croati di Pavelic, i partigiani comunisti di Tito e i cetnici di Milosevic. E così arriviamo all’8 settembre 1943 con l’esercito italiano allo sbando e quello tedesco che si stava riorganizzando; gli slavi iniziarono i primi omicidi a sangue freddo; venivano prelevate tutte le persone in vista del posto, indipendentemente dalla razza, credo politico e ceto sociale; a seconda della zona venivano legate a due a due e gettate in mare o nelle famose cavità carsiche chiamate foibe. In un solo mese di rastrellamenti assassinarono centinaia di persone finché i tedeschi non ripresero il controllo della zona a fine ottobre. Purtroppo il peggio doveva ancora venire; finita la guerra inizia il calvario per gli italiani della Venezia-Giulia; ora a essere rastrellati non sono più le persone in vista del paese o della città, ma qualunque cittadino italiano che non accetti di cedere tutti i suoi beni e la sua cittadinanza allo Stato jugoslavo, tutti i funzionari pubblici tutte le forze dell’ordine, i reduci della Grande guerra, persino dei partigiani che combatterono per l’italianità dell’Istria e in generale chiunque non volesse collaborare, se non riusciva a scappare o veniva ucciso o finiva nei campi di concentramento. In questo clima di terrore gli italiani cominciarono l’Esodo, lasciarono tutto pur di non rinunciare alla loro italianità. In tutta la Venezia-Giulia tra il ’45 e il’54 furono uccisi oppure scomparvero da un minimo di 10 mila a un massimo di 20 mila italiani e 350 mila presero la via dell’esodo; emblematico è il caso di Pola dopo la firma del trattato di Parigi, in cui tutta l’Istria, Fiume e la Dalmazia vennero cedute alla Jugoslavia, nel giro di una settimana 28mila polesani su 31mila lasciarono Pola per non tornarvi più. A confermare la ferma volontà da parte di Tito di fare pulizia etnica ci sono le parole di Milovan Gilas: «Nel 1945 io e Kardelj fummo mandati da Tito in Istria a organizzare la propaganda anti-italiana. Si trattava di dimostrare alle autorità alleate che quelle terre erano jugoslave e non italiane. Certo che non era vero. Ma bisognava indurre tutti gli italiani ad andar via con pressioni di ogni tipo. E così fu fatto». Questa è la storia della Venezia-Giulia, una storia millenaria di una terra italiana nel profondo, che è stata e che viene continuamente messa in discussione per opportunismo politico; chi sostiene la non-italianità della regione o è un bugiardo o è un ignorante, che in entrambi i casi dovrebbe vergognarsi, ma noi non dobbiamo curarci di costoro (come diceva Dante «non ti curar di loro ma guarda e passa») perché niente è più bello della verità. Ce l’hanno messa tutta per cancellare l’italianità di quella terra ma non ci sono ancora riusciti: hanno proibito l’insegnamento dell’italiano ma la gente parla ancora il dialetto istriano e canta ancora le canzoni popolari di allora; hanno profanato le tombe degli italiani ma ce le siamo portate via e il loro ricordo non si è cancellato; hanno distrutto i monumenti e le statue italiane, ma l’arena romana di Pola e l’arco di trionfo sono ancora lì a testimoniare l’italianità della città; a Spalato la porta aurea e il palazzo di Diocleziano sono ancora in piedi; il leone di San Marco sigilla ancora tutti i palazzi ducali e le piazze della costa; Ragusa non è cambiata di una virgola; alla fine hanno quasi raso al suolo Zara ma dalle macerie sono emersi dei reperti romani sconosciuti sino ad allora. Mettetevi l’animo in pace anti-italiani, la storia quella vera non si cancella neanche con le bombe perché in Istria, Fiume e Dalmazia anche le pietre parlano italiano; speriamo solo che ci siano ancora italiani in grado di ascoltarle.
Luca Tamburini (nipote e figlio di esuli istriani)