LA CRISI DELL’EURO NEI PROGRAMMI DELLE ELEZIONI POLITICHE DEL 2013

Riportiamo in questo spazio, su gentile concessione dell’autore, un articolo critico rispetto ai programmi dei maggiori partiti sulla questione monetaria.

La critica è in buona sostanza condivisibile, e riflette le nostre posizioni così come più volte e in diverse sedi esposte dal responsabile della linea politica di Progetto Nazionale, Manuel Negri.

Proponiamo quindi lo scritto in questione come ulteriore sottolineatura e spunto di riflessione al di là delle appartenenze.

Buona lettura.

LA CRISI DELL’EURO NEI PROGRAMMI DELLE ELEZIONI POLITICHE DEL 2013

Fuggiamo dalla passiva accettazione dei luoghi comuni

di Luca Cancelliere

Il dibattito sulla politica economica in Italia si distingue per la scarsa attenzione ai problemi tecnici e per l’adesione conformistica alle tesi veicolate dai “mass media” nazionali, controllati dai gruppi economici legati alle oligarchie finanziarie internazionali. Prevale dunque l’accettazione passiva dell’europeismo più spinto, con lievi sfumature. Praticamente niente, pertanto, del dibattito che gli economisti italiani più avanzati (come Alberto Bagnai e Claudio Borghi Aquilini) sulla scorta dei risultati raggiunti dai più illustri studiosi internazionali(come Roberto Frenkel e Paul Krugman) hanno intrapreso sul fallimento annunciato dell’area Euro e sull’opportunità del ritorno alla Lira, è entrato nell’odierno dibattito politico elettorale.

L’alleanza di centro guidata dal Presidente dei Consiglio dei Ministri uscente, Mario Monti, è un caso di commissariamento diretto della politica italiana da parte dell’alta finanza internazionale, delle istituzioni europee e della Germania di Frau Merkel, senza intermediari. La coalizione tra lista Monti, UDC e FLI, a rigore, non può nemmeno essere considerata un soggetto politico “italiano” nel vero senso del termine.

Tra i soggetti politici tradizionali, il Partito Democratico (con gli alleati di “Sinistra Ecologia Libertà”), è oggi quello più conseguente e coerente nel perseguire la subordinazione dell’Italia al progetto euro-mondialista. Le radici di questo progetto, abbracciato dall’ex P.C.I. a partire dalla segreteria Occhetto, risalgono al 1948, quando a Washington il capo dell’O.S.S. (antenato dell’attuale C.I.A.) William Donovan fondò l’A.C.U.E. (American Committee for United Europe) e cominciò a finanziare i federalisti europei. Nello schieramento di centro-sinistra, pertanto, stanno i fautori più accesi degli ”Stati Uniti d’Europa”, tappa decisiva verso la futura integrazione euro-americana.

Per quanto riguarda la coalizione guidata da Silvio Berlusconi, essa crollò nel 2011 per l’ostilità internazionale suscitata dalla sua politica sovranista filo-russa e filo-libica. Il voltafaccia contro Gheddafi, il sostegno al governo Monti e il voto a favore del “Fiscal Compact” hanno cancellato quella stagione. Non sorprendono,

pertanto, le proposte programmatiche di “accelerazione delle quattro unioni: politica, economica, bancaria, fiscale” e di rilancio del ruolo centrale della B.C.E. di Draghi con i fantomatici “eurobonds”. L’errore è pensare che l’Euro possa essere riformato: l’area Euro non è un’area valutaria ottimale, nel senso dato al concetto dall’economista Mundell. L’economista argentino Frenkel ha dimostrato che gli squilibri della bilancia dei pagamenti tra le economie appartenenti a un’area valutaria non ottimale provocano una crisi finanziaria che si propaga dal settore privato a quello pubblico e porta quest’ultimo all’insolvenza. Esattamente quanto sta accadendo oggi, in misura diversa, all’Italia, alla Grecia, alla Spagna.

“Rivoluzione Civile” di Ingroia si dichiara “contro l’Europa delle oligarchie economiche e finanziarie”, contro il “Fiscal Compact” e per “l’abbattimento dell’alto tasso degli interessi pagati”. Propositi irrealizzabili senza la subordinazione delle banche, centrali e non, ai governi. La crescita del debito pubblico dal 62,40% del 1981 al 118,40% del 1993 fu l’effetto diretto del divorzio tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro, avvenuto nel 1981, a seguito del quale la Banca d’Italia non fu più obbligata ad acquistare i titoli del debito pubblico non collocati sul mercato obbligazionario. Nel 1983, inoltre, fu abolito l’obbligo per gli istituti di credito privati di detenere una quota minima di titoli di Stato (“vincolo di portafoglio”). La conseguenza fu che lo Stato, per finanziarsi, dovette ricorrere esclusivamente al settore finanziario privato, concedendo tassi d’interesse molto più elevati e facendo esplodere la spesa per interessi passivi. Per abbatterli, lo Stato deve poter controllare la base monetaria.

Neanche il programma del “Movimento Cinque Stelle” di Beppe Grillo affronta minimamente la questione monetaria. Esso si limita ad auspicare la “riduzione del debito pubblico con forti interventi sui costi dello Stato con il taglio degli sprechi (…)”. In pratica, la politica del “Fiscal Compact”, che ha portato il rapporto debito/P.I.L. dal 119,9 del 2011 all’attuale 127,3%. I tagli alla spesa pubblica in fase di recessione, come è noto, deprimono la domanda aggregata e peggiorano ulteriormente il rapporto debito/P.I.L.. Mentre al contrario la politica economica dovrebbe essere anticiclica, cioè espansiva nelle fasi di recessione e restrittiva nelle fasi di crescita economica. E’ inoltre significativo che Grillo, il 22 settembre 2012, abbia esplicitamente negato qualsiasi proposito di portare l’Italia fuori dall’Euro. Si può concludere che forse ha ragione Alberto Bagnai a parlare di “partito unico dell’Euro”.

L’Europa vera non è quella della U.E. e della B.C.E., ma quella degli Stati Nazionali, che devono tornare a battere la propria moneta.

Fonte: Rivista Excalibur n.72 – Gennaio 2013, pag.13

Periodico dell’Associazione Culturale “Vico San Lucifero” (Cagliari)

www.vicosanlucifero.it

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