CARTONE E SPAGO

VALIGIA

Mentre l’immigrazione dalle coste Africane dilaga verso il nostro Paese, diventando la notizia principale di ogni TG e pagina di giornale, c’è un’altra immigrazione molto più silente, ma non per questo priva di disagio e disperazione.

Era iniziata con quella che i media avevano definito “fuga di cervelli”, che faceva pensare a qualche film comico, un’americanata a lieto fine.

I cervelli in fuga sono plurilaureati troppo preparati per la squattrinata Italia, che non sa dove collocarli.
Prendono l’aereo alla volta di Inghilterra, Germania, America, a lavorare in luoghi prestigiosi dove le loro potenzialità possono realizzarsi in maniera adeguata e redditizia.
Spesso e volentieri trasmissioni di politica e attualità li intervistano davanti a un bicchiere di vino, in locali trendy di qualche capitale europea.

Stanno bene così e chi li può biasimare? Alcuni di loro manifestano una sorta di risentimento verso l’Italia, paese corrotto dove per loro non c’è futuro. Altri sperano comunque un giorno di poter tornare a lavorare nel proprio paese, come l’ amico e compagno di scuola, che lavora in Germania per un laboratorio di ricerca e spesso si reca per collaborazioni al CERN di Ginevra. “È un bel lavoro ma spero che un giorno in Italia ci sia posto per me”, mi dice con lo stesso sorriso rassegnato di quando a scuola prendeva solo otto.

Su un altro palcoscenico è di scena l’altra faccia dell’emigrazione italiana.

Alle sei del mattino, in qualche parte d’Italia, sta per partire un pullman.
Le persone si abbracciano, piangono, l’autista carica gli ultimi scatoloni legati con lo spago, cartone e spago.

Qui il cervello è annebbiato da una tristezza infinita, un’inquietudine amara. È un cervello abituato anch’esso a fare i conti ma per riuscire ad arrivare alla fine del mese e alla fine del mese non ci si arriva mai. E si va via, su un pullman, alla volta di Germania, Inghilterra e altri paesi d’Europa, da qualche cugino che là ha trovato un lavoro. Fabbriche, bar, ristoranti, non importa, l’importante è riuscire a sfamare i propri figli.

Di realtà come queste i media parlano raramente e quando i più sono già andati a dormire.

Il servizio è fatto molto bene e le lacrime di chi non vuole andarsene, ma è costretto, sono lacrime vere.

Secondo dati forniti dal Sole 24 Ore, nel 2013 sono espatriati 100˙000 Italiani, con un incremento del 71,5% rispetto al 2012. Secondo La Stampa (29/05/14), nei primi mesi del 2014, 6˙000 Italiani si sarebbero trasferiti a Mosca e in altri paesi dell’Est Europa.

Sono in gran parte giovani, giovani Italiani.

Paesi come la Germania li accolgono a braccia aperte, in osservanza degli accordi di Schengen e, mentre loro ci accolgono, accogliamo anche noi, fino allo stremo.

Una parte della nostra popolazione, di forza lavoro, si sposta. Al suo posto arrivano gli immigrati, nei centri di accoglienza, persino negli hotel. Tutto questo sotto lo sguardo impassibile di chi le fabbriche non le chiude e continua a produrre anche grazie alla nostra forza lavoro.

Questo processo immobilizza sempre più l’Italia. Dopo aver perso i cervelli e le braccia di questo nostro povero Paese, ci troviamo costretti a sopportare il peso dell’emigrazione altrui.

Dall’articolo già citato de La Stampa, “Il 2014 sarà il primo anno a saldo migratorio negativo, sostiene la Caritas Migrantes. Fuori dalle definizioni statistiche, significa che i nostri connazionali in fuga dalla crisi saranno più degli stranieri in cerca di lavoro e dei disperati del Mediterraneo. La bilancia penderà verso i fuggiaschi per almeno 20-30 mila persone. Non era mai successo. Non da qualche decennio almeno”.

In questo “paese delle emergenze” forse a questo punto è d’obbligo individuarne una che sembra passare quasi sotto silenzio e stabilire delle priorità. Perché se è vero che siamo tenuti a salvare le vite dei disgraziati che annaspano nel Canale di Sicilia, è anche vero che non possiamo non prendere provvedimenti urgentissimi verso gli Italiani che si vedono togliere il lavoro, la possibilità di vivere nella loro terra con i loro cari e sono costretti a giocarsi la vita per sfamare la propria famiglia, annaspando verso un futuro incerto, rischiando il tutto per tutto anche se non attraversano il mare su un barcone.

Emma Stepan

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