CITTADINANZA ONORARIA ED INTEGRAZIONE: CI CONFONDONO APPOSITAMENTE LE IDEE

Il potere mondiale punta al controllo centralizzato dei sistemi educativi e alla “armonizzazione” dei programmi scolastici, per il superamento psico-affettivo del valore di patria, di tradizione, di costumi.

La campagna “IO COME TU” (per maggiori informazioni vedi http://www.unicef.it/iocometu), promossa dall’Unicef (uno dei tanti “centri nervosi” dell’ONU che esercita un ruolo fondamentale nel condizionamento delle politiche scolastiche e sulle scelte culturali delle singole nazioni), muove proprio in questa direzione, e trova terreno fertile tra educatori non più tali ed insulsaggine politica, a Verona come altrove.

Un esempio in tal senso ce lo offre infatti il Comune di Sona, in provincia di Verona, che assegna la cittadinanza onoraria ai figli minori degli immigrati.

Purtroppo, mascherata da una apparentemente innocente iniziativa simbolica (l’assegnazione della cittadinanza onoraria), si gioca una partita sul terreno di una gigantesca mistificazione che è quella del cambiamento del criterio dello ius soli al posto dello ius sanguinis per il riconoscimento della cittadinanza; l’estensione quindi della cittadinanza ai figli degli immigrati nati sul territorio dello Stato italiano.

Ci vorrebbero raccontare (strumentalizzando meschinamente i minori) che tale modifica giuridica servirebbe a garantire i diritti degli immigrati e permettere a chi nasce in Italia di essere italiano, senza patire discriminazioni.

La REALTÀ è però ben altra: con l’attuale criterio (ius sanguinis) I DIRITTI DEGLI IMMIGRATI NON SONO AFFATTO NEGATI, e agli immigrati residenti, di fatto, manca solo quello di poter votare alle amministrative.

E non è secondario ricordare che in alcune nazioni i residenti stranieri hanno diritto al voto senza per questo doversi “naturalizzare”.

Non è affatto vero che chi nasca oggi in Italia da genitori stranieri ma residenti non possa divenire italiano, perché se almeno un genitore è italiano lo è anche il figlio. E altrimenti, se risiede qui, a diciotto anni un nato in Italia può scegliere liberamente di acquisire la nostra nazionalità.

Insomma i diritti negati, non sono negati affatto, perché chi nasce in Italia già oggi può scegliere liberamente, raggiunta la maggior età (e si auspica una maggior maturità e consapevolezza) di essere italiano!

La polemica che viene montata surrettiziamente da agitatori professionisti, che confondono appositamente le idee, ha lo scopo di dare vita a qualcosa di completamente diverso, più subdolo e dirompente, utilizzando lo ius soli come un grimaldello per disarticolare la società tradizionale e la comunità nazionale. Gli internazionalisti, i pietosi immigrazionisti, i mestieranti della sofferenza, che si riempiono tasche e conti in banca con le sovvenzioni pubbliche, sono gli stessi che si ribellano al concetto stesso di comunità, di nazione e di Stato e alla sua forma ordinatrice. Sono quelli che per ideologia o fede religiosa sono cosmopoliti e nemici delle identità, sono i globalisti per visione politica o interesse finanziario, sono tutti quelli che hanno in odio il concetto stesso di appartenenza e differenziazione.

Non ci stancheremo mai di ricordare e sostenere quello che irresponsabilmente taluni hanno dimenticato o fingono di non sapere, e cioè che vi è una bella differenza tra cittadinanza e nazionalità, anche se i due termini sono spesso usati indifferentemente come sinonimi, perché per nazionalità s’intende il senso di appartenenza a una nazione per lingua, cultura, tradizione, religione, storia e, in questo senso, la nazionalità coincide con l’idea di nazione esprimente il complesso di quegli elementi che caratterizzano la storia di un gruppo etnico. E, come tale, non è acquisibile col rilascio di una nuova carta d’identità e con un semplice cambio di cittadinanza.

Considerato che da straniero si può essere residente senza che vengano negati gli stessi diritti degli italiani, cosa nasconde questa frenesia alla “naturalizzazione” se non un inconscio senso di superiorità classista, di puzza sotto il naso (e di intolleranza ideologica) per cui per essere accettati in un consesso più emancipato e più evoluto gli stranieri devono “diventare” italiani?

Cosa c’è di educativo in tutto questo?

Quali perni valoriali, memoriali e culturali precisi può fornire il messaggio per cui basta, da straniero, nascere in un determinato luogo per far parte del popolo e della nazione che in quella determinata terra si identificano?

Servono affinità di varia natura e lunghi percorsi temporali (anche generazionali) per poter realizzare una (non scontata) integrazione.

Gli apprendisti stregoni giocano col nostro futuro e con quello di giovani inconsapevoli, la posta in gioco è troppo alta per lasciarli fare.

Luca Zampini

Progetto Nazionale Verona

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