È di qualche giorno fa l’intervista a Cecile Kyenge rilasciata al quotidiano on line affaritaliani.it (http://www.affaritaliani.it/politica/kyenge-immigrazione-375829.html) sul tema tensioni da nord a sud tra italiani e immigrati richiedenti asilo politico.
Due dei commenti dell’europarlamentare sono stati:
«Non buttiamola sul disagio. La situazione va vista e letta in un’ottica nazionale e internazionale. Sono in corso movimenti di persone da una zona ad un’altra e da un continente ad un altro. E sul territorio italiano si assiste alla fine di questo movimento, che va gestito in maniera diversa a tutti i livelli (…)».
«Non c’è nessuna invasione. Chi fa il politico deve imparare ad essere lungimirante e capire che è in atto uno spostamento internazionale».
Al di la delle uscite generalmente infelici dell’europarlamentare e al significato e/o collocazione che possa dare ai termini lungimirante (sarebbe stato sufficiente un briciolo di sale in zucca), spostamento (se inteso come azione momentanea o definitiva), fine di questo movimento (modello casella “arrivo” del gioco dell’oca dove tra passa, ripassa, torna alla casella precedente, salta il turno, Italia “arrivo” fine del gioco), io credo che involontariamente abbia detto una grande verità: «chi fa il politico deve essere lungimirante»!
Verità scontata in realtà, ma va bene, a volte anche scoprire l’acqua calda ha un suo perché.
È necessaria innanzitutto una precisazione: immigrato e richiedente asilo hanno significati diversi, motivi di spostamento diversi, scopi e programmi futuri potenzialmente diversi.
– IMMIGRATO (def.) è chi si è trasferito in un altro Paese; in senso specifico riferendosi ai soli spostamenti determinati da dislivelli nelle condizioni economiche dei vari paesi, chi si è stabilito temporaneamente o definitivamente per ragioni di lavoro in un territorio diverso da quello d’origine;
– RICHIEDENTE ASILO POLITICO è colui che ha subito persecuzioni o teme, sulla base di fondati motivi, di subire una persecuzione individuale a causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un certo gruppo sociale o per opinioni politiche.
Si può chiedere asilo nel nostro Paese presentando domanda di riconoscimento dello stato di rifugiato.
Questo per correggere un’imprecisione sul tema affrontato e per introdurre quanto a seguire.
Passo indietro.
Torniamo ai commenti della Sig.ra Kyenge.
Per definizione “lungimirante” è chi, grazie alla propria acutezza e saggezza, intuisce il probabile andamento delle cose, prevede ciò che potrà accadere e provvede per tempo.
Ora, non ci si venga a dire che il fenomeno immigrazione (e non è certo sinonimo di spostamento in quanto azione temporanea) sia un argomento che non abbia dato spazio a intuizioni sul probabile andamento delle cose o a previsioni di ciò che sarebbe potuto accadere e quindi provvedere per tempo!
Chi emigra è una persona in continua ricerca di un luogo, una casa, un paese con opportunità diverse nonché migliori rispetto al paese d’origine. Il suo viaggio, spesso travagliato, inasprito, sconfortante, talvolta drammatico, lo colloca in quel limbo tra l’essere e il non-essere a livello sociale. A metà tra una società di partenza lasciata alle spalle ed una società ospitante non ancora raggiunta.
L’immigrato è quindi un individuo temporaneamente privo di identità, di un luogo di appartenenza, di riconoscimento per cultura, religione, tradizione se non limitata al proprio essere individuo, ma non più nel riconoscimento di sé all’interno di una società.
QUESTO È LO SPOSTAMENTO DI CUI PARLA LA KYENGE IN MODO COSÌ SEMPLICISTICO?
E ancora.
Chi emigra, come detto, in quanto individuo ha un’esistenza sospesa ma nel suo sangue affondano le sue radici, le sue origini che possono ostacolare il senso di appartenenza ad una nuova comunità. L’immigrato, in quanto appartenente ad un gruppo di numero tot individui, stabilizzati in una nuova comunità, abbatte quegli ostacoli (religiosi, psicologici, culturali, sociali, giuridici, tradizionali, etnici ed identitari) dando origine a gruppi che più o meno in modo legittimo gettano le fondamenta di una nuova società all’interno di una preesistente, già radicata, naturale del Paese ospitante.
Quindi, di fatto, in una società divenuta forzatamente multietnica è naturale il crearsi di tali gruppi per un senso di riconoscimento del sé e di appartenenza (gruppi di minoranza) che diventano sotto-comunità. Riteniamo inevitabile il conseguente confronto tra i gruppi di minoranze o tra un gruppo di minoranza e quello del Paese di accoglienza in quanto quotidianamente tanto gli immigrati quanto gli autoctoni sono sottoposti a cambiamenti, forzature, talvolta imposizioni, reciproche per relazionarsi ed interagire. E lungimiranza vuole che sia prevedibile che tali confronti potrebbero non essere necessariamente pacifici.
QUINDI IN ITALIA ASSISTIAMO ALLA FINE DI QUESTO MOVIMENTO?
Altra espressione semplicistica dell’europarlamentare. Si parla della progressiva cancellazione delle origini di milioni di persone e il quasi totale svuotamento di vaste zone di un continente.
Ecco dove trova il suo perché la scoperta dell’acqua calda: la LUNGIMIRANZA!
Guardiamo allora alle generazioni future già minacciate dalla globalizzazione/mondializzazione (processo omologante di interdipendenze economiche, sociali, culturali, politiche e tecnologiche del pianeta) e dal mondialismo (interpretazione ideologica che esalta ed incoraggia la distruzione delle differenze e delle qualità in tutti i campi, dalla sfera intellettuale a quella alimentare, per una società unificata e governata da una classe dirigente impegnata a plasmare il pianeta nella pretesa che ogni suo singolo abitante sia esclusivamente il frutto della mondializzazione/globalizzazione. Bramosia di onnipotenza mondana orizzontale…).
I figli di persone immigrate vivranno a loro volta sospesi tra l’essere e il non-essere, tra la cultura d’origine e quella della società ospitante.
TUTTO QUESTO ANCHE E SOPRATTUTTO CON LA DENATURALIZZAZIONE DEL PAESE DI ACCOGLIENZA.
In nome della lungimiranza, a fronte della gestione di basso livello finora attuata al fenomeno di «non invasione», considerando che tutto ruota attorno ad interessi economici globali e non certo a sentimenti umanitari nei confronti di nessuno, viste le discriminazione nei confronti del popolo italiano, è o non è prevedibile la reazione di quest’ultimo?
È o non è prevedibile che anche la popolazione autoctona voglia legittimamente riaffermare le proprie radici, la propria cultura, la propria tradizione, i propri usi e costumi? Il riconoscimento e l’appartenenza del proprio sé nel proprio territorio?
È vero i politici dovrebbero essere lungimiranti, non lo sono stati e non lo sono (davvero improbabile che lo saranno in futuro); ma quel che è peggio è che non lo sono stati e non lo sono nei confronti del loro popolo che nuovamente dimostrano di irridere, di snobbare, di sottovalutare, di non considerare abbastanza, di non conoscere e di non voler salvaguardare!
Gruppo “Ricerche e Documenti” – Immigrazione