PUÒ ESSERCI “TENUTA DEL PAESE” SENZA LA DIGNITÀ, IL CORAGGIO, LA LIBERTÀ, L’AMOR PATRIO?

Secondo taluni il non volere Mario Draghi alla guida dell’Italia sarebbe, oltre ad un crimine di lesa maestà (si fa per dire…), una manifestazione incontrovertibile di volontà delittuosa ed affossatrice della nostra ex nazione ora “Paese”. Guai a toccare l’uomo della “provvidenza” della casta bancaria, l’araldo della finanziarizzazione dell’economia!

Così almeno la pensa l’ex sindaco di centro (destra?), ora forzista berlusconiano, Flavio Tosi.

Ipse dixit:

«Chiunque minacci la tenuta e la stabilità del Governo Draghi è un irresponsabile. Non si può rischiare di mandare in rovina il Paese per qualche calcolo elettorale di bottega.

Il Governo Draghi è nato in una situazione difficile, nel post-pandemia, per utilizzare al meglio i fondi del PNRR attraverso la credibilità europea di una figura di alto profilo come Draghi. Quei fondi devono essere la leva per generare crescita nel Paese, perché una parte è debito da ripagare. Non si può mandare tutto all’aria, a maggior ragione oggi con la guerra in Ucraina e la crisi energetica e delle materie prime.

Ha fatto bene il Presidente Berlusconi, il leader più responsabile e leale nel sostegno a questo Governo, a chiedere una verifica di maggioranza, per stanare le ambiguità dei grillini. Per governare è necessario che ci sia chiarezza politica, quindi ci si conti e si veda chi ci sta e chi invece si vuole chiamare fuori.

C’è un dl Aiuti da approvare in Parlamento, la tenuta del Paese viene prima di tutto.».

Vien da pensare, con rammarico, a quanta acqua è passata sotto il ponte di Castelvecchio da quel genuino leghista del “Papalia non ti temiamo”.

Sì, abbiamo capito, i sovranisti, i populisti, La Le Pen, blà blà bla…ma prima di doverci sorbire il nuovo teatrino della sfiducia, del Draghi no, Draghi forse, traghettatori, Amato e via di prese per il culo, rinfreschiamoci un po’ la memoria sul “mitico salvatore” Draghi.

Dice nulla ai neo-sostenitori di Draghi la cosiddetta «Operazione Britannia»?

Quella sul panfilo reale di Sua Maestà la Regina Elisabetta, a cui parteciparono nel giugno del ’92 esponenti della finanza mondiale e figure di primo piano del mondo politico e industriale italiano, non fu propriamente una sciccosa festicciola al largo di Civitavecchia, ma un incontro associato ad una strategia di dismissioni pubbliche e di privatizzazioni, che ha dato vita allo smantellamento del patrimonio economico italiano nel corso degli anni Novanta dello scorso secolo.

Non ci riferiamo a tesi complottiste o teorie fantasiose, parlano i fatti – vedi la fine di molte aziende pubbliche soprattutto dell’IRI – e i documenti – come lo stesso discorso colà tenuto da Draghi, all’insegna del meno politica più mercato, pubblicato il 22 gennaio 2020 da Il Fatto Quotidiano.

Giova qui ricordare che l’Italia era nel ’91 la quarta potenza economica mondiale, dopo Stati Uniti, Giappone e Germania, prima di Francia e Regno Unito; una economia, la nostra, che all’epoca rappresentava una marcata particolarità col suo interventismo statale nella sfera economica (il famoso “sistema misto” frutto della collaborazione tra Stato e settore privato); una economia che faceva gola alla finanza angloamericana che patrocinò quella simpatica riunione marinara, a cui partecipò, tenendovi il discorso introduttivo, Mario Draghi (già direttore esecutivo della Banca Mondiale dal 1984 al 1990, azionista della grande banca d’affari americana Goldman Sachs, di cui fu Vice Chairman e Managing Director nel 2002, e successivamente membro del Comitato esecutivo del gruppo dal 2004 al 2005), allora Direttore generale del Tesoro, inviato dal Ministro dello stesso dicastero Mario Carli, impossibilitato a presenziare.

Difficile valutare il peso del ruolo di Draghi in quell’incontro; non parve avere invece dubbi in merito Francesco Cossiga, che in una memorabile “picconata” del 2008 lo definì «Un vile affarista. (…) è il liquidatore, dopo la famosa crociera sul Britannia, dell’industria pubblica, la svendita dell’industria pubblica italiana, quand’era direttore generale del Tesoro».

Lasciamo però Cossiga e le sue caustiche picconate e torniamo all’oggi.

La realtà, tristissima ed ignobile, purtroppo, è altra, a prescindere dai grillini o da quel che ne è rimasto o meno di loro.

Draghi, e prima di lui Ciampi, Dini, Monti, rappresentano la sconfitta della Politica, l’incapacità generale della formazione e della selezione di classi politiche all’altezza del loro ruolo, anziché “miracolati” senza arte né parte, furbastri, camaleontici voltagabbana, lustrascarpe, arrampicatori sociali.

In Italia la Politica è in via di estinzione, ora c’è la governance in alto e l’amministrazione in basso. Punto.

Il governo Draghi ha messo all’angolo i partiti che da quell’angolo non sembrano avere alcuna intenzione di smarcarsi, fatta forse eccezione, e forse solo in parte, per Pd (che in questo pantano dai miasmi oligarchici e antipopolari ci sguazza) e FdI (che di tanto in tanto lancia qualche segnale in controtendenza).

Subalternità, timore reverenziale, disagio, questa è oggi la politica italiota. Chi mai vorrebbe oggi trovarsi a gestire un governo di natura politica?

Questa la nuova “normalità” tutta nostrana, caso forse unico tra le nazioni più importanti d’Europa.

Sempre meno gente che va a votare, sempre più gente incazzata che deve trovare una valvola di sfogo in qualche vicolo cieco preconfezionato, sempre più fatalismo diffuso.

Dove sarebbe la tenuta del paese a rischio, quando viviamo in conclamata atomizzazione individualista, dove non si riesce, e non si vuole ragionare se non in ossequio ai dogmi (questi sì, bottegai) della religione liberista?

Può esistere ed avere eventualmente un senso la sola “tenuta economica” quando tutto il quadro sociale va verso il collasso, lo sfilacciamento, lo scollamento?

Può bastare il solo “cemento” economicista a fare Comunità, Nazione, Superpotenza?

Domande per la Politica…

Progetto Nazionale – Verona

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